ABRUZZO TERRA DI POESIA E DI PAROLE
La poesia è una forma di comunicazione con la quale si manifestano agli altri momenti di vita vissuti ed emozioni provate.
Cabbia è terra di poeti e scrittori, persone che, con la parole, ci donano emozioni e ci fanno vivere realtà e fantasia come potrai leggere tu stesso. Grazie ai loro racconti si impara ad apprezzare quello che di bello ci propongono.

ROCCO DI GIAMBERARDINO

Il compare "Rocco" (08.03.1925) ci ha lasciato degli splendidi racconti di "VITA PASSATA", in cui narra storie e ricordi sul parroco Don Andrea, sugli insegnanti di Cabbia, sui quattro saggi e tante altre storie da leggere tutte di un fiato.

MONTEREALE E LE VILLE
Terra del Beato Andrea - Tratto dall'archivio di Rieti
Nel secolo XVI, il contratto nuziale tra il Duca di Firenze Alessandro dei Medici e la Duchessa Margherita d'Austria, prevedeva la concessione da parte di Carlo V pro dot et dotis nomine ae fundo dotali, il "ducatum et ipsam civitatem Pennae et teraa Campli necnon civitatem Ducalem oppidaque sive castra et loca Montis Regalis et Leonissae sita in Provincia Aprutina".
INSEGNANTI
Gli insegnanti di Cabbia delle scuole elementari, DI GIACOMO PIETRO e MICARELLI ELENA, esperti in medicina, rispetto a ciò che potevano sapere i nostri paesani.
Oltre all'insegnamento, si dedicavano con affetto a fare pronti soccorsi, che di tanto in tanto si rendevano necessari, eche, forse, attendere l'arrivo di un medico, poteva rivelarsi troppo tardi.
DOPO LA GUERRA
Dopo la guerra 1940-1944, i Cabbiesi si dedicarono ad intraprendere altre attività lavorative, quali attivitò tecniche e commerciali, oltre a quella del contadino.
APERTURA STRADA MARANA-CABBIA
ANNO 1935: è giunta la prima grande gioia in questo abbandonato paese: l'apertura della strada percorribile da mezzi a motore MARANA-CABBIA. è un evento significativo: i cabbiesi iniziano a vedere un pò di luce.
MATRIMONIO
Il matrimonio, in un paese come Cabbia, impegna gran parte della popolazione: curiosi, amici e parenti.
La prima parte si svolge mel pomeriggio antecedente il matrimonio: nella casa della sposa, i parenti preparano i cesti, addobbandoli con nastri di vari colori; in questi cesti sistemavano con cura il corredo della sposa, vestiti, tovaglie, lenzuola e coperte, le donne con i cestini in testa e gli uomini con colli a mano, preceduti da un suonatore di organtto, attraversavano le vie del paese diretti verso la casa dello sposo. Tante erano le manifestazioni di gioia che si sentivano da lontano: canti e balli coinvolgevano gli invitati che si avvicinavano alle tavole imbandite, rustiche ma al contempo ricercate.
Al mattino seguente però la cerimonia veniva invertita; la madre e i parenti dello sposo, si dirigono verso la casa della sposa: la futura suocera, con un cestino adornato sulla testa, porta in dono oro o coralli. In questa occasione si ricrea la stessa atmosfera: ecco allora la colazione con frittate, prosciutto, salame e caffè. Verso mezzogiorno quasi tutto il paese partecipa alla festa... tutti vanno a casa della sposa; proprio lì fuori avviene forse il momento più significativo: tutti quanti, parenti della "moglie" contro quelli del "marito", danno inizio ad una divertente battaglia a suon di confetti e se ne consumano tanti chili da imbiancare tutta la contrada. Questo momento dura fino a quando la casa della sposa è colma di parenti.
Conclusa la giostra, gli sposi a braccetto si avviano verso il rito religioso seguiti dal corteo di amici e parenti.
A fine cerimonia, ci si ritrova tutti insieme per il pranzo che di solito si protrae fino a sera. Poi, tra chi si riposa e chi seguita a festeggiare, gli sposi seguono il loro destino, con l'augurio di dar vita ad una nuova famiglia.
FUNERALI
La morte come la nascita in un paese tanto piccolo generava la partecipazione di tutti. Questi due eventi, diversi tra loro ma di pari coinvolgimento, scandivano il passare del tempo. E di essi, se ne parlava e riparlava, tanto che in poco tempo acquistavano connotazioni e contorni diversi, sfumature fantastiche e grottesche, divenendo pian piano STORIA.
Quel pomeriggio, mia madre parlava sottovoce con una nostra vicina di casa; alla conversazione si unirono due zii; notai improvvisamente sul volto di mia madre un'espressione di dolore e stupore che le scuriva il viso: raccontavano infatti di un giovane pastore che aveva perso la vita in montagna; la cosa che apparve incredibile a tutti noi è che l'episodio ricalcava qualcosa di già avvenuto, riproponendo la forza della natura che aveva colpito e ucciso a distanza di poco tempo, in luoghi non lontani, un altro pastore. La montagna grande, imponente, accattivante protagonista, ci mostrò il suo aspetto impervio e faticoso, nemico doloroso, ci rese un corpo senza vita, per il quale dovettero intervenire le autorità giudiziarie nella rimozione.
Molte donne del paese, la sera, non tornarono a casa, unite al dolore dei parenti più vicini, recitarono il "rosario", sottovoce, cadenzato, una litania ritmata. Sembrava una ninna nanna che accompagnava il sonno eterno di un ragazzo.
Al mattino un fragrante odore di pane si spandeva nelle vie del paese: avevano panificato "per il morto". Poche lire, una candela, mezza pagnotta di pane, venivano distribuiti, mantenendo un'antica usanza, a tutti coloro che partecipavano al rito funebre. Sotto una pioggia impietosa, in processione verso il cimitero alle porte del paese, ci univamo tutti al dolore delle famiglie.
BEFANA
Era la sera del cinque gennaio... la mia gola bruciva e un calore insolito scaldava le mie mani. Cercai di assumere un aspetto normale, sperando che mia madre non si accorgesse che avevo la febbre. Avevo atteso quel giorno impazientemente... mi ero riproposto più volte, durante l'anno, di essere buono, per poter ricevere la "tonta" da poter mostrare con fierezza ai miei amici.
Dimenticai la mia febbre e mi unii ad un gruppetto di ragazzi: armati di sci fatti di toghe di botti, fermati al piede con fascette di cuoio, bussavamo ad ogni porta del paese per chiedere i regali che la Befana aveva lasciato per noi in ogni casa.
Regolava questo nostro "pellegrinare" di casa in casa, uno scambio di cortesie tra famiglie e un coinvolgimento della gente che si prestava pazientemente a rendere felici un'orda di ragazzini che rumoreggiavano nelle vie del paese.
La "Tonta" era un insieme di cose semplici, frutto del lavoro della terra e di grandi sacrifici: noci, noccioline, arance, castagne avevo messo un pò ovunque: nelle tasche della giacca, dei pantaloni, ed un piccolo sacco in vita. Alla fine della serata, colma di ogni tipo di leccornia, non vedevo l'ora di poter mostrare l'indomani ai miei compagni tutti quei doni, frutto sicuramente dell'amore e non del denaro.
Il mattino seguente, corsi in piazza con mio fratello... non avevo dormito, l'euforia della festa creava in me una grande eccitazione. Scupolosamente appoggiai i doni ricevuti sul muretto della Chiesa, raccolsi un pò di neve e la misi in bocca... una palla di neve mi colpì proprio sul cappello, che saltò via insieme a gran parte delle noccioline: non sapevo se ridere o piangere.
Mi voltai bruscamente: la palla proveniva da un gruppo di ragazzi che aveva appena finito di costruire con la soffice neve caduta la sera precedente, delle grandi statue. Una era adagiata in terra, vegliata da un altro ammasso di neve dalle sembianze maschili. Assunsi un cospetto serio e mi avvicinai: i due enormi fantocci di neve rappresentavano il principe e la principessa, protagonisti della favola "La Bella Addormentata nel Bosco".
Presi una nocciolina e la tirai al più grande del gruppo; voltai le spalle ed inizia a curiosare tra i gruppi di gente che formavano tanti piccoli Capannelli. Il paese per un giorno, sembrava incantato dallo spirito di tanti "scultori in erba". Ovunque si potevano distinguere Marionette, Pinocchi, nanetti di Biancaneve, principi, regine e cavalieri. Un teatro dell'effimero che si sarebbe sciolto sotto i primi raggi di sole, animato dalla voce di colui che veniva prescelto come lettore dei canti dell'Ariosto. La poesia di quei canti si confondeva alle poesie della vita, fatta, quel giorno, di neve, di tonte, di grida, di risa, di allegria... fatta di gente animata da una profonda cultura popolare che, con semplicità, rievocava pagine di letteratura e stralci di fiabe.

NANDO GIAMMARINI

Nando (14.02.1955) ha una grandissima passione per la scrittura, che coltiva ogni giorno raccontando con dovizia di particolari, la realtà che lo circonda. Collabora infatti costantemente con diverse testate giornalistiche, soprattutto abruzzesi, perchè non ha mai perso il contatto con i luoghi della sua infanzia. Nel 2010 ha scritto e pubblicato il libro "Pochi versi... Una speranza", una raccolta di poesie dedicate alle vittime del terremoto del 6 aprile dell'Aquila. Di seguito un estratto delle sue poesie piu belle.

POESIA A SAN ROCCO - 16 AGOSTO 2007
Volentieri ti dedico festa
della materna terra mia
questo modestissimo componimento
in segno di rispetto e cortesia
alba novella non sarà mai un tramonto.
Con te è sempre aperta la retta via
dove nessuno teme alcun confronto
piena di bontà grande di cuore
meraviglioso incanto di virtù d'onore.

Io ti ricordo dall'età del fiore
quando la gente tua in piena allegria
aspettava l'estate per organizzare
questo evento con grande fantasia.
Porti in tutte le case un messaggio d'amore
ad ogni Cabbiese doni serenità ed armonia
dai un contrinuto semplice e tenace
alla causa dell'Amicizia e della Pace.

Infondi il coraggio che a nessuno nuoce
tutti di te dicon gran bene
e lo fanno declamando a piena voce
con la gioia che sgorga nelle vene.
Al gran richiamo mai nessuno tace
questa la melodia, la nostra speme
alla festa tutti s'inchinano con un rintocco
per salutare Cabbia e il suo San Rocco.
POESIA A SAN ROCCO - 16 AGOSTO 2008
Attraversando strade ombrose e belle
che alla terra Cabbiese danno splendore
le origine sue son sempre quelle
ci siamo legati con la mente ed il cuore
spuntano a sera luminosi punti: le stelle
illuminano d'immenso un magico chiarore
un sentimento si sviluppa arcano
ci avvolge tutti, dolcemente, piano piano.

Ecco la festa del Santo Patrono
che tutti i paesani unisce ed affratella
per San Rocco torna anche il più lontano
un forte impatto mai non si cancella
è la materna terra, il suolo nostrano
sole nascente che in noi sempre brilla
l'alba radiosa l'universo avverte
il bene delle cose umane e certe.

Tutti facciam sovente la nostra parte
demandandola fiduciosi ai degni figli
pien di speranza che la nobile arte
li tenga lontani da tanti perigli
questo sentimento mai rimane in disparte
lo troveranno sovente nella vita i nostri gigli
al suon gaio della campana al dì di festa
ogni Cabbiese la sua bontà ridesta.
IN RICORDO DI MARIO - 4 MARZO 2009
Si sopiva sopraffatto il giovincello
rapito da un destino tanto crudele
assai provato ma in viso ridente e bello
un fiore nuovo reciso allo stele
all'improvviso tutto è diventato brullo
il tuo ricordo tra noi sempre prevale
non dormi più sotto il materno tetto
ti rimembro che eri piccoletto.

Il tuo riposo possa essere benedetto
ti voglio rendere immortal con la poesia
giovinetto buono gentile ed educato
ognuno ha la sua sorte anche se rìa
non sei più tra noi e un altro Mario è nato
porta il tuo nome con onore e cortesia
lo proteggerai con le cose più belle
lassù, dal cielo tra le tante stelle.

Sgorga acqua alpestre dalle fontanelle
continuità di vita una speranza
disseta tutti da monte a valle
anche il tuo angelico volto e la posanza
piena di luce tante nitide stille
emanate dal cuore con sostanza
sicchè l'acerbo fiore dai riflessi profumati e rari
placherà, con il tempo, l'immane dolore dei suoi cari.
TERREMOTO SULLA MIA PELLE - 24 APRILE 2009
Trema la terra Abruzzese nella notte dura
interi paesi relegati in un abito nero
crollano case piange la natura
ad ogni centro storico va il mio pensiero
i superstiti stretti nel dolore e nella paura
lottando sperano in un soccorso rapido e sincero
povera gente, vittime innocenti di un destino
che non fa differenza tra alcun essere umano.

Immane tragedia, tutto appare arcano
essenzialmente al calar della sera
mille urla nel buio accendono un frastuono
mentre intorno sta sbocciando primavera
a fine giornata tace anche l'ultimo bambino
la folla in un dolore muto e composto si dispera
rientrando nelle tendopoli,evento strano
terrore e disperazione si toccano con mano.

Brilla la luna sul G. Sasso superbo e ameno
si leva alta la preghiera, una litania
tra poco si respirerà odor di fieno
in questa sventurata terra mia
la vita deve riprendere piano piano
con il lavoro si ritrova una minima armonia
lassù tra i monti, nelle placide distese
desiata culla di gente Abruzzese!
PRESIDIO DELLA MEMORIA - 11 LUGLIO 2010
Nonostante la pioggia tanta gente silenziosa ha sfilato
ricordando i nostri fratelli caduti
per non far scendere le tenebre sul problema terremoto
la notte del maledetto sei aprile: momenti disperati
ognuno porta nel suo cuore tristezza, un dolore sordo e muto
che da nessun tempo saranno mai cancellati
la vostra mancanza pesa intensamente
al punto di sconvolgere il cuore e la mente.

Figli di terra abruzzese sinceramente
umile gente colpita da un destino atroce
in cielo troppo presto siete volati tristemente
limpidi angeli travolti dal peso della croce
ai vostri doveri sempre impegnati garbatamente
chi allo studio, chi al lavoro, chi al riposo veloce
tali laboriose occupazioni quotidiane
tenevano alte le nostre tradizioni.

Siamo immersi in un mare di emozioni
dove onde tumultuose scavalcano tutti
siete il nostro esempio luminoso, le lezioni
maestosi gigli dai colori intatti
non occorrono altre spiegazioni
di nostra vita siete gemme fiori e frutti
or vi saluto con un commosso inchino di amore e gloria
vive in eterno chi è circoscritto dal ricordo della memoria!
IL DOLCE RICORDO DI ELIGIO - 7 MAGGIO 2010
Dopo brevissima degenza ospedaliera
dal suol toscano è volato in cielo
un uomo mite di nobili maniere
un rigoglioso fiore reciso nel suo stelo
era mattina e si è fatta sera
in questo giorno è calato un triste velo
una sorte assurda e alquanto rìa
da noi tutti ti ha portato via.

Ti voglio immortalar con la poesia
sicchè il tuo sorriso ce lo porterà il vento
il timbro della voce fisso nella mente mia
ci farà sentir vicini in un momento
purtroppo manca in casa tua l'armonia
strappata da questo triste, luttuoso, evento
illuminerai di luce con magici zampilli
delle tue figlie i momenti più belli.

Or che riposi nel regno degli ancelli
ci apparirai come luminosa cometa
trasmetterai dall'alto diversi modelli
con la celerità del maratoneta
ti farà compagnia il canto degli uccelli
tra il rumoreggiar dei ruscelli e l'aria cheta
poi la solidarietà che tutti unisce e accoglie
sia di sostegno e di conforto alle figlie e alla moglie.
PREFAZIONE LIBRO "POCHI VERSI... UNA SPERANZA"
Le mie modeste poesie nascono da un'esigenza interiore sempre viva in me coltivata fin dai tempi della scuola. Sono la massima espressione poetico sentimentale di un uomo che vive ed interpreta le sensazioni, gli stati d'animo, le difficoltà di un mondo in rapida trasformazione con particolare interesse rivolto alla parte meno abbiente della società.
Sono un misto di altruismo, generosità e attaccamento alla materna terra; quel paesino, Cabbia di Montereale (AQ), che tanta parte ha nella mia vita ove sovente ritrovo affetti, ricordi, sentimenti. Se è vero quanto sosteneva Ungaretti cioè che la poesia è "la limpida meraviglia di un delirante fermento" essa trasmetterà al cuore del lettore delle profonde sensazioni analoghe alla semplice innocenza di un fanciullo che vive nel suo mondo la bellezza dell'infanzia spensierata.
"Pochi versi... Una speranza" vuole essere un invito alle nuove generazioni a riscoprire la bellezza e la freschezza della poesia, nelle sue tante espressioni, che ha da sempre accompagnato la vita di tutti i popoli della terra. In definitiva l'unico mezzo di dialogo e di pace tra le diverse culture.

BERNARDINO CONCEZIO SALVI

Concezio (data di nascita) è uno scrittore legatissimo a Cabbia, a cui piace raccontare episodi a lui tramandati dalla scomparsa madre Angelina (come nei racconti di "Cronache di Cabbia"), o poesie a cui ha voluto rendere omaggio a personaggi e luoghi a lui cari (come nei racconti "Cajani"), o anche episodi di fantasia che hanno la Caja come location storica, ma sono visti e raccontati con gli occhi della fantasia, inventati per i bambini piccoli come fiabe per farli addormentare. Nel 2010 ha scritto il libro "Caja, la fonte dei sogni". Di seguito alcuni estratti dei suoi racconti più piu belli.

CRONACHE DI CABBIA | NINNÒ
Una struggente lettera d'amore che Ninnò scrisse alla sua amata Angeletta sul letto di morte

Ninnò. Stava morendo. Stava maledettamente morendo. Giovane, maledettamente giovane. Lo stanzone del Policlinico era pieno di malati, pieno di luce, squallido. Il giorno successivo lo avrebbero trasferito allo Spallanzani. Se era fortunato forse sarebbe vissuto ancora un altro mese intero. Questo l'augurio fattogli dal primario che poco prima lo aveva visitato. Forse quasi un mese. Per un ventenne un nulla. Per un ventenne innamorato, molto. Forse tutto il tempo necessario per scrivere.
Doveva comunicare al suo amore l'immensa gioia della sua vita, insieme alla sua prossima morte. Scrisse fino alla fine, dimentico del male incamminandosi mentalmente verso il suo paradiso terrestre, un borgo montano dell'Abruzzo aquilano, la Caja, dove c'era la sua Beatrice, il suo giovane amore, Angeletta.

"Cara anima mia, sono ancora al Policlinico. Forse domani mi porteranno allo Spallanzani. Questa mattina sono venuti a trovarmi zi'Bernardo e Carmenello. Mi raccontavano delle storie del paese. Io stancamente annuivo. Hanno capito. Allora hanno iniziato a parlarmi solo di te. Ho visto la luce. Mentre loro mi dicevano di come eri vestita, quando ti hanno visto alla Chiesa il giorno della Candelora, io ti vedevo vicina a me. Accarezzavi con le delicate mani il nastro di raso, regalo dei tuoi sedici anni, i tuoi biondi capelli illuminavano la stanza, sentivo persino il tuo profumo.
Dio come sei bella. Pregavi in ginocchio per la mia salute. Ah! perchè non ho ascoltato i tuoi consigli, perchè non ho rispettato la mia salute, perchè quella maledetta sera sono stato con i miei compagni a farmi male. Perchè non potrò essere il compagno della tua vita. Mamma, morta del mio parto mi aveva lasciato da subito solo... perchè io devo lasciarti a vent'anni senza averti mai abbracciata, baciata, amata come avrei voluto. Perchè non potrò mai godere della tua vecchiaia.
Ti sciolgo dalla promessa. Io morirò prima di Pasqua, ma per me non ci sarà resurrezione. Tu dovrai vivere senza di me. Promettimi che sarai felice. Ogni volta che ripasserai lì a Collemanelli dove ci scoprimmo innamorati, sappi che io ci sarò. Quando avrai dei figli, belli come te, portali a vedere la nostra quercia, nutrili dell'amore che ti lascio.
Non ritornerò più a Cabbia, neanche il mio corpo. Questo ho chiesto alla cara cugina Loreta. Ricordami solo nei tuoi sogni. è mia la colpa se siamo stati felici per cosi'poco tempo. Non ti spedirò questa lettera. Le lascerò in consegna a Loreta.
Vedo che nel cortile sta entrando un'autoambulanza, forse quella del mio trasporto. Dio, quanto mi manchi!"
CRONACHE DI CABBIA | IL GUARDIANO DELLE API
Al mio amato zio Minichella... ma voi... non sentite in lontananza un armonioso suono di organetto?

Era solo, aveva quasi cinque anni. Era caldo, quasi mezzogiorno. Stava a Capolesioli, nel piccolo podere di famiglia, quello vicino alle macchie di castagno. Smise di giocare con i bastoncini e la polvere di creta. Si concentrò sulla fascella delle api. Era una arnia rustica, senza telai. Per prenderne il miele occorreva uccidere tutte le api. Dieci erano le arnie che doveva guardare, proprietà della sua famiglia. Il papà, morto da alcuni mesi, aveva iniziato quell'attività anni prima. I suoi tanti fratelli, più grandicelli, stavano facendo altri lavori, anche lontano dal paese. Il suo compito era di controllare le arnie durante il periodo della sciamatura. Lui era il piccolo guardiano della api. Non appena vedeva formarsi un nuovo sciame, lui subito iniziava a far rumore con vecchi secchi, a lanciare in aria piccoli brecciolini, a gridare. Si sperava così che l'ape regina, appena uscita dal buio dell'arnia, frastornata da tutto ciò, rinunciasse al primo volo nuziale e si posasse nelle immediate vicinanze con tutta la sua colonia. Ciò ne avrebbe permesso una facile cattura. Se fosse andata troppo lontana, non vista, lo sciame era perso. Quando la regina si posava su un albero di altri proprietari bisognava dividere con quelli il miele futuro. Il piccolo Domenico doveva far posare lo sciame dentro la loro piccola proprietà. Tutto il miele sarebbe stato il loro. La sfortunata madre lo avrebbe venduto ai paesani e il ricavato sarebbe servito per acquistare del necessario per tutti loro. Grande era la responsabilità del piccolo uomo.
Tre giorni prima aveva sofferto molto. Era una stupenda giornata e la regina delle api, anche se frastornata, non aveva rinunciato al suo primo ed unico rapporto di fecondazione. Seguita dai fuchi in amore si era librata alta nel cielo e aveva sorpassato le cime dei primi castagni, scomparendo verso Marana. Una tragedia. Aveva pianto a dirotto. Ritornato a casa era stato rimproverato dal fratello maggiore, Peppittu, il piccolo padre. Quella notte di sofferenza non dormì. Giurò a sè stesso che da allora in poi non avrebbe soltanto messo in atto tutte quella strategie apprese dai fratelli per fermare l'ape regina. No, da allora in poi avrebbe chiesto aiuto ogni volta al suo papà in cielo per mettere paura alla regina e per farla posare subito in terra, nel loro terreno. Forse, anche per questo il papà era andato in cielo. Da quella volta tutte le regine si fermarono, o sulla loro terra o appena vicino. Da allora in poi da semplice guardiano diventò per tutti "Il cacciatore delle api". Dopo fu anche il creatore dei funghi o l'incantatore di lumache, catturò la lepre con un sasso, si riprese l'agnello dalle fauci del lupo. Ma, queste sono altre storie...
CRONACHE DI CABBIA | COSE COSÌ... CAJANE
Cabbia 30.04.1948
"Con la presente privata scrittura da valere per tutti gli usi consentiti dalla legge e da convertirsi in pubblico istrumento ad ogni richiesta del Signor Salvi Alberto (o sia del compratore), La signora Di Pasquale Berardina fù Antonio fu Romani Marietta vende al Signor Salvi Alberto fù Bernardo e Di Luca Maddalena un paiaio in località detto (Castello) circa 25 metri quatri, alto circa 7 metri sette, confinando con i Signori Salvi Antonio fù Andrea, e con Di Giamberardino Domenico fù Giulio La Signora Di Pasquale Berardina dichiara di aver ricevuta da Signor Salvi Alberto Lire la somma di lire 50000 cinquanta mila che sarebbe il prezzo pattuito del sopradetto fabbricato addibito per paiaio e dichiara che da oggi in avanti lascia libero posesso al Signor Salvi Alberto.
Testo Durantini Domenico
Testo Mancini Antonio
Accetto Di pasquale Berardina per segno di + Croce."

Un documento a mano vergato su un'antica carta da bollo, con elegante ed incerta scrittura, per molti; per me uno struggente ricordo del padre che mi riconcilia alla vita ed accresce la passione per Cabbia, l'amata sfuggente che ci accoglierà, ancora ed ancora e per sempre, nel Santo Campo del grembo natio, dove i tanti parenti ed alcuni cari compagni, già da un pezzo, ci stanno aspettando.
I pagliai di Castello erano i più ambiti. Erano a ridosso "dell'ari" dove si tritavano e capavano il grano, l'orzo, il farro o i "neori" con il calpestio delle bestie ed il favorevole aiuto dei venti; la paglia prodotta si rimetteva facilmente nel pagliaio utilizzando gli ampi sportelli alla sua sommità, sfruttando il dislivello montano. Le ari erano un magico luogo dove una Croce, ancor oggi presente, benediva la fatica degli uomini; da quel luogo elevato si discerne, lontano, il monte Vettore che conserva, celato ai comuni mortali, il corpo di Ponzio Pilato nelle limpide acque del suo laghetto montano. Il Romano, si narra, dalla Palestina tornando, atterrito da rimorsi inumani, si affogò in quel pezzetto di cielo, da allora nominato Pilato ed il suo corpo scomparve nel nulla. Da sempre, dai tempi dei tempi, su quel monte acuto e isolato, attorno alla limpide acque già dette, si celebrano i sabba pagani, delle fate e delle streghe del mondo. Qualcuna di esse, provenendo dal sud dei cieli, stanca e spossata si riposa la notte sulle nostre splendide are cajane, prima dell'ultimo salto, e, ciò è un grave rischio per noi. Queste magiche donne, se fate, si divertono a scompaginare, scherzose, solo la trita del grano ma se streghe intrecciano la criniera ai cavalli, seccano il latte alle mucche e poi la vera, grande minaccia: straniscono gli infanti nel letto! Allora bisognava infiggere sul portone di casa innumerevoli chiodi e appoggiare dietro di esso una scopa composta con tanta saggina. Solo dicendo con precisione il numero dei chiodi e dei fili della saggina quelle signorine volanti potevano entrare, ma nel lungo contare trascorreva la notte e prima dell'alba dovevano, celermente, riprendere l'interrotto cammino. Per gli animali una semplice effige di Sant'Antonio, l'Abate, posta dentro la stalla, dietro la porta, li proteggeva dal male. Le notti d'estate in cui le immortali Signore veleggiavano nei cieli stellati nessuna bestia rimaneva all'aperto, fuori o nei campi. Ma tutto ciò a noi bimbi cresciuti non incuteva alcun timore, rassicurati e protetti dall'imbattibile amore materno. Noi avevamo paura solo della nostra Paura; essa viveva in uno strettissimo vicolo, piccolo e scuro, che dallo Spaccio di Rocco conduceva nei pressi della Fornarella. Le calde notti d'estate, quando più a lungo potevamo restare fuori col buio, i più coraggiosi di noi si intrufolavano nella minuscola rua e sortivano, impavidi, narrando le loro avventurose perizie. Spesso qualcuno affermava di aver visto la Ferale Signora descrivendola con impaurite parole, ma ognuno la narrava ogni volta diversa. Ahimè, venne alla fine, anche il mio turno! Il timore di venir considerato un disonorato codardo mi spinse alla terribile impresa. In verità nulla notai e nessuna Paura se non la mia stessa incontrai però sentii forte il suo fetido odore di vecchio piscio marcito nel tempo. Da adulto ho risentito quel suo forte olezzo a Venezia tra le rue delle sue splendide calli. Amo Venezia anche per questo, per quel piccolo pezzo della memoria di Cabbia che lì, ogni volta, ritrovo!
CAJANI | PASQUALE, FIORU, NARDO, DOMè, PAOLO, ELIGIO, NATALINO, CARMENELLU
PASQUALE
Li piccirilli correanu 'na piazza
appiccieanu e spegneanu lu focu
quae natru sartea lu montò
e tutti quanti steanu a jocà!
Solu unu de quilli
sembrea n'omu fattu
sicuru e precisu guidea lu nonno ciecu
eroe della guerra e Gran Cavaliere!
Reveghiellu oghi che tenga fà gl'ianni
cò Angela a fiancu e cò lu stemma de volu
non ce creerreste ma me fà emozionà.
Ho sempre pensato
che non avesse un'età
per me era nato
come uno che già tutto sà!

FIORU
Ti ricordi
quando fanciulli
mi salvasti
dalle gelide acque
tu sapevi nuotare!
Quando lo scricciolo
derideva
le nostre tagliole.
Quando affascinati
sedevamo silenti
vicino al falchetto alla cova.
Poi diventammo adulti.
Ora
posso soltanto recarti
Fiore reciso anzitempo
solo
una sommessa preghiera.

NARDO
Quella mattina andasti a lavorare
con una dolce speranza dentro il cuore
quando brillanti di brina sparivano col sole
e la campagna sabina faceva trasognare.
In quelle dolci colline gravide di storia
vivevi felice insieme alla famiglia
ed ora che i tanti lustri del lavoro
finalmente giungevano nel porto
le avresti fatto dono di ogni ora.
Arrivò nel grande ventre del lavoro
dove a giorni il tempo riprendeva
ma il mostro dell'invidia
affamato da sempre di dolore
ti tolse quella gioia tanta attesa.
Ora i sacri ulivi ti proteggono il sogno
accarezzati da un refolo fresco
sceso fin qui
a portarti un saluto
dalle innevate cime cajane!

DOMè
'Nquillu Sarrocco salemmo a Prignola
lu vecchiu sentieru aveanu refattu
e quella sindaca bionna
tantu,tantu slanciata
lu era pure venutu a 'naugurià!
Quanno allu Montautu semo accimati
tuttu lu fiatu io mero fenitu
ma tu friscu e tranquillu portii sulle spalle le dù splendide figlie
come farfallette delicate e leggere.
Po'la sera recalemmo alla Caja
ma la festa era spenta e nù pochittu languea
mogliema m'isse:non ne vale la pena
è meglio che ce ne jemo a repusà.
Non era passata mancu mezz'ora
che da Camancinu sentemmo risate, applausi e felicità.
Violittu,mammeta e tu stravestiti un po'strani
missi 'nmezzu alla piazza co'tanta braura steate a recità.
Non c'è gniente da fà me isse Luciana
senza Domenicu
che 'nsaporisce le feste de stù paese
sempre sciapu tenerremmo magnà!

PAOLO PICCOLU
Questa mattina sono andato a Frascati
accompagnavo mia figlia Giovanna all'INFN.
C'era un traffico lento e per qualche minuto
davanti ad un ristorante, Fernando, ho sostato.
Nel ripartire
qualcosa di dentro era cambiato,
mi sono commosso
ma non capivo il perchè.
Una lacrima amara piena di tanti ricordi
ha solcato il mio viso:
quello era un luogo dove anni prima ero stato felice,
un caro amico vi si era sposato!
Sono ormai quattro anni
che te ne sei andato,
e ognuno di noi
ti porta sempre con sè.

ELIGIO
Non riesco a scriverti niente
non accetto la tua di-partita
se quest'anno ritorno alla Caja
vorrei tanto incontrarti per via!

NATALINO
Ho conosciuto tuo nonno Natale
e nel giorno del tuo compleanno
nell'augurarti una buona fortuna
mi piacerebbe un po'ricordà.
Mi sembrava che mi sentisse vicino
un'affinità di anime vere
una diversa opinione politica
che col tempo ho saputo apprezzà.
Mi consigliava sulla vita futura
di non distogliermi mai dallo studio
di non seguire le Ulisse sirene
e di non farmi da solo del mal.
Da qualcosa di questo ho da tempo sviato
ma so riconoscere il valore degli uomini
e col sangue che lui ti ha donato
sicuramente una gran donna potrai diventar!

CARMENELLU
Se mai la Caja un core avesse tenutu
alli tempi che io c'abitea
tutti avrianu juratu
e quillu de Carmenellu t'avrianu indicatu.
Se assettea alle scali 'ncima alla Piazza
e ogni ota che quaeunu passea
la pianeta ella vita
co'nà battuta sapiente troea.
Sembrea nù vecchiu simpaticu e argutu co'la vita passata felice
solu dopu seppi della tragica storia
gli era mortu 'mprovviso gl'unicu figliu
che mamma me icea forte e bellu come un dragò!
Issu e la moglie se appennorieru pè 'n'anno
po'nà sera d'estate riuscì a parlar nella via
e co'la famosa battuta sull'agnelelle 'e Gregoriu
alla vita normale tornò.
Ma la dolcissima sposa
sortatantu da morta ridiscese le scali
pè ghì a retroà
gl'amatu dragò!
CAJANI | TRASANNA A SAN ROCCO
Neri cieli precipitanti dal monte
quando morì lo strano animale
che scavalcato il recinto di morte
ricercava per l'altro la vita.
Sbigottiti udimmo i lamenti della lasciata compagna.
Entrammo nel campo di morte trovandola
delicata e viva presenza
in una nuova nicchia di centrale cappella.
Su tutto,frattanto,precipitava l'inferno.
Nella mano ancora la vittima recente
Ingenuamente pensammo di rinfondergli vita.
Lo feci!
Il nero morì sotto il sole nascente
mentre incantato ammiravo godendo
il Paradiso Terrestre
dove la coppia correva felice, padrona del mondo.
CAJANI | CAPANTICA E COLLEPIANO
Il paese di Cabbia
è circondato da boschi
con i pini e i castagni
recenti figli degli uomini
ma c'è Capantica
e poi Collepiano
da allora creati
da divino diletto.
"Se o'sapì
se maggiu è arriatu
vighi a Colle Pianu
sa ha appoppatu!"
Sono antichi faggi
che attraversano i tempi
ma durante l'ultima guerra
se ne stavano tutti ad andà.
Era tanta la fame di legna
per nutrire gli impoveriti camini
e i nostri avi ridotti allo stremo
disperati li andarono a troncà.
Una parte discreta ne fu risparmiata
ed è quella
che ammiriamo felici
ancora ogni giorno.
Quando spesso ci passo vicino
gli sossurro una prece d'amore
è tua l'energia primordiale
che il mondo permise e ci permette di stà!
CAJANI | LUCCIOLE A CAMANCINO
Quelle notti d'estate quando il mondo respira
le lucciole ascendono dalla costarella alla cava
ma in mezzo alla strada un'orda di bimbi
in alcune serate bisognava passa'!
Eravamo predatori terribili
senza bisogno alcuno di armi
solo un'unica magica nenia
insieme dovevamo gridà:
"Lucciola,lucciola vien da me
che ti dò il pan del Re,
il pan del Re e della Regina
lucciola,lucciola piccolina!"
Qualcuna di quelle,incantata,
passava a portata di mani
ed appena veniva catturata
sui rustici maglioni subito andavamo a sfregà!
Ho cacciato il cinghiale,la volpe e la tigre
perseguitato le starne,le beccacce e le piche
ma solo la cattura infantile di quella tremula luce
ogni volta, a pensarci, mi fa vergogna'!
RACCONTI FANTASTICI | RAWALPUN
Questa non è una Cronaca usuale che parla della nostra storia reale, ma è un racconto fantastico che un mio lontano antenato narrò ai figli, in punto di morte: è un insieme di vecchi fogli ingialliti di diversa grandezza e di difficile comprensione perchè vergato con mano tremante, in piccoli caratteri e con molti strani latinismi. A mano a mano che verrà decifrato sarà pubblicato. Abbiamo trovato questo manoscritto dentro il cassettino segreto di un antico inginocchiatoio di nonna Loreta Durantini insieme alle ultime lettere d'amore di Ninnò. I miei anziani parenti hanno deciso che gli eredi più giovani custodissero questi meravigliosi lasciti, così mia cugina Claudia Salvi conserva le lettere di Ninnò ed io l'antico racconto che reca uno strano titolo: "Lu viaticum et lu sognu. Dallu Caò finu a Rawalpun".

Chissà se mentre scrivo questi pochi ricordi sono già sveglio e nel mondo del sole o se sono ancora a Rawalpun dove sgorga la vita; non riesco più a separare le due dimensioni, ma ero stato avvertito. Mia madre solo poc'anzi sarchiava incurvata il nostro campetto di grano nella piccola valle montana, ma ora questa è una fitta boscaglia con alberi alti e mamma è sparita, e tutto ciò nello spazio di un battito d'ali. Adesso dove mi trovo? Quale mondo calpesto? Una folla contrita segue il mio bel funerale, ma io preferisco stare con gli ultimi, tra quelli che chiacchierano dei fatti mondani, ma ora iniziamo il racconto per bene.

C'era una volta uno sperduto paesello montano abbracciato dal sole dove viveva un bambino curioso che voleva sapere il perchè delle cose. Aveva un mamma sempre troppo presente, un papà che vendeva la lana nelle sperdute contrade del mondo, una sorella di poco più grande rinchiusa in collegio ed un'altra scomparsa da tempo da cui aveva ricevuto il nome, e forse la vita. Il fanciullo non era ancora nell'età della scuola e per l'intera giornata seguiva le orme materne nel lavorare la terra o nell'accudire gli armenti. Il gioco tra i bimbi gli era stato precluso: chi aveva già perso una figlia tremava allo stormir delle fronde, ma i piccoli uomini hanno straordinari poteri come quello di frequentare mondi diversi volando leggeri su ali fantastiche. Quel bimbo in un giorno assolato fece un viaggio incantato fino ai confini del mondo e quando fu vecchio lo raccontò agli amati figlioli e questa che segue ne è la trascrizione fedele:
"Miei cari figli, vi lascio la verità di questo racconto come l'eredità più preziosa del mondo: non abbiate mai il timor della fine poichè noi non siamo umani mortali in cerca di una spirituale esperienza, noi siamo anime eterne che provvisoriamente vivono la dimensione umana nell'attesa di un prossimo viaggio. Un giorno lontano di un caldo e gradevole giugno ero andato con mamma a lu Caò a recapare lo ranu. Forse avevo cinque anni ed ero contento poichè cavalcavo la nostra asinella Rosina, ma ero enormemente arrabbiato perchè sarei voluto restare al paese, a casa di Mimma: per lei già batteva il mio piccolo cuore. Arrivammo presto sul posto e mamma iniziò subito ad estirpare dal frumento le erbacce, io mi sistemai lì vicino dove rimanendo in contatto visivo con lei giocavo a sasso con sasso facendo pascolare la mia tranquilla Rosina. Dopo diversi minuti, l'asinella avvicinatasi al boschetto di faggi come in trance si era bloccata e con uno strano sguardo, fisso verso il terreno, immota maneva; incuriosito mi avvicinai guardingo, rivolgendo la vista nella stessa direzione, ma nulla notai, allora le camminai davanti veloce e spedito e, diamine, per poco non caddi svenuto per lo spavento: stavo per calpestare una graziosa zolla di terra che improvvisamente mise le ali e si librò silenziosa e sicura scomparendo tra la bassa ramaglia del bosco, lasciando scoperte due piccole uova pinturicchiate con vari colori della stessa grandezza di una piccola noce. Quello era un uccello notturno, il Succiacapre, degli incolti il fantasma, ma questo solo dopo lo appresi. Rimasi interdetto, mia madre non si era accorta di niente e l'asina era muta mia complice. Ragionai da uccello: sarebbe tornato per continuare la cova. Mi nascosi dietro un pruno selvatico ed intrepido attesi. Non mi accorsi come, ma la mammarella era già sopra al suo rustico nido. Mi avvicinai strisciando come una serpe ma nello slanciare la prensile mano quella volò. Allora attesi di nuovo. Quando rivenne mi sentii una formica e lentissimamente giunsi alla meta, sedetti d'appresso alla preda chiudendo gli occhi come la mia selvaggina ed attesi il momento propizio bloccando fin'anche il respiro pensando di essere un sasso, ma all'improvviso qualcosa di strano mi accadde: mi ritrovai in piedi vicino al me stesso seduto, mi chinai ed accarezzai l'uccello, questa volta per nulla impaurito, vidi mia madre piegata al lavoro con l'asinella che pascolava tranquilla e mi ricordai del desiderio di Mimma e come d'incanto mi ritrovai al suo fianco mentre stava giocando a Marietta è cottu lò pà sul grofeliu di casa, con i nostri amici comuni. Fiore, uno di questi fanciulli, tra tutti il più scaltro, troppo facilmente si faceva catturare abbracciandosi alla mia piccola amata, ma allora lei non sarebbe mai diventata la mia legittima sposa? Pensai al mio matrimonio e subito mi ritrovai dentro una deliziosa, piccola Chiesa, fino ad allora mai vista, che si ergeva alla Palommara sul quel nostro prato vicino alla piccola fonte. Improvvisamente, su all'accareccia, il lago montano rompeva gli argini con un boato tremendo e prorompendo con un'impressionante massa di acque, di fango e di sassi travolgeva nonno Giovanni che stava nel prato a pascolare il bestiame, ma un masso gigante gli si pose davanti e separando le acque furiose lo salvò insieme alle vacche: è il miracolo che, come sapete, avvenne alcuni anni più tardi. Con le parti frantumate da quell'enorme massa di pietra fu costruita la Chiesola alla Madonna 'e le Grazie e da Raparello qual'ero come un novello Salvi, salvato, mi stavo allora sposando. Don Andrea faceva una magnifica predica, i genitori ed alcuni stretti parenti mi stavano al fianco, ma la moglie chi era?
na bellissima donna con negli occhi il riflesso del cielo mi metteva l'anello mentre la gente davanti alla piccola Chiesa commossa applaudiva, ma molte di quelle persone non le avevo mai viste e non mi sembravan per niente paesane. Cari figli, avrei conosciuto vostra madre più tardi, da giovane adulto, ma già alla prima vista fugace si installò in eterno nel mio semplice cuore. Mi interrogai allora, ma da quale parte del mondo la mia sposa veniva? Iniziai a veleggiare nel cielo di una verde terra, posta al centro d'Italia, dove uomini e donne diventavano santi, dove stupendi alberi, non presenti in montagna, con le foglie argentate accarezzavano i venti e dove vidi un'antica e turrita città che recava sopra l'arco d'entrata una scritta orgogliosa: "Hispellum, splendidissima colonia Julia".
Oddio, da quel magnifico luogo proveniva mia moglie, ma come l'avevo conosciuta? Mi vidi imberbe fanciullo al fianco di mio padre canuto che contrattava il prezzo dei migliori filati di lana in Rasiglia, l'arricchita dal fiume Menotre. Lei mi comparve come la stella che ristora il marinaio perduto, entrai attratto nei suoi occhi di cielo e sognai di volarvi per sempre. Era la figlia minore del proprietario della filanda, perciò figli cari siamo diventati così grandi commercianti di lane. Stavo rimirando beato cotanta muliebre bellezza quando all'improvviso mi risovvennero i fatti: da quando mi ero scisso dal corpo, rimasto seduto vicino all'uccello, qualsiasi pensiero si era avverato e venivo trasportato nei luoghi e nel tempo solo dalla forza dei miei desideri. Immaginai allora di ritornare in quel posto montano e subito avvenne; non sembrava trascorso, da allora, neanche un secondo, solo un particolare un po'strano era cambiato. Seduto vicino al me stesso c'era un simpatico scoiattolo dal nero pelo lucente che appena mi vide apparire non si diede alla fuga, anzi con fare cortese mi saltella vicino rivolgendomi, ascoltatemi bene, una parola ottimamente intonata. Mi saluta educato facendo il mio nome, mi dice che è da un pezzo che mi stava aspettano per condurmi sicuro nel lungo viaggio futuro mentre in quel luogo caiano il tempo si sarebbe come fermato.
Quando saremmo ritornati, dopo aver visitato gli innumerevoli mondi, per l'uccello, il mio corpo, l'asina e mamma neanche un secondo sarebbe passato. Si scusa gentile perchè ancora non si è presentato: "Mi chiamo Pinchi - mi disse, con tenera voce infantile - sono la guida prescelta che ti condurrà a Rawalpun! Ora possiamo avviarci saltando dritti sul primo raggio di Sole. ".
Miei pochi ma attenti lettori scusatemi tanto, ma giunto a questo punto dell'intrigante racconto la curiosità ha avuto la meglio, così sono corso, come un bambino incantato, a decriptare la parte finale del manoscritto e questo ne è il risultato parziale:
"Addio cari monti abruzzesi dalle cime innevate, andrò a riposar tra gli ulivi a fianco della dolcissima moglie, così nella vita il destino si avvera. Quando la bianca coltre invernale ricoprirà anche queste verdi terre assisane, ritornerò sulla Terra, magari solo un momento, per presentare allo Spirito gli amati paesi della mia umana passione. Ad maiora! ".

FRANCO DURANTINI

Franco (10.11.1947), professore di diritto ora in pensione, ha insegnato a migliaia di alunni ma ancora non ha esaurito la voglia di imparare... la passione che ci mette per la scrittura emerge forte dai suoi emozionanti scritti, di cui di seguito un estratto.

CRIPTA DI SAN ROCCO
Degli appestati fosti il curatore
per questo meritasti il primo altare,
nella vota un gran predicatore
molte anime hai potuto salvare,
dei beni ti spogliasti con onore
e ai poveri poterti dedicare
perdona, o Santo, a noi qualche mancanza
e per l'eterno dacci una speranza.
LU CIOCCU E NOTTE NATALE - 24 DICEMBRE 2015
Per affrontare il lungo e gelido inverno, la famiglia aveva procurato le scorte necessarie. Il granaio pieno,granturco per la polenta e la pizza di mais, cereali che avevano barattato con le castagne, patate, vino,legna per riscaldarsi e cucinare.Ma quando si stipava la legna, il nonno già metteva da parte il ciocco migliore,più grande e più secco; esso doveva ardere la notte di Natale.Doveva essere resistente,ardere fino a tarda ora e tenere la casa calda per la famiglia in festa. Quella notte,però, non poteva mancare un altro fascio di legna,più o meno grande, da portare al "fuoco del Bambino" in piazza . Non c'era famiglia che non portava,almeno due frasche,al fuoco; esso doveva riscaldare il Bambino Gesù che stava nascendo. La notte santa,dai grandi,era attesa con vera devozione, mentre per i bambini era una festa gioiosa ed unica perchè ,forse, si assaggiava il torrone. Non pensate ai torroni di adesso, limitate la grandezza ad un condorello incartato a fiocco e forse ci siamo come idea. Per noi era tantissimo. Quel sapore si custodiva gelosamente nella memoria fino al Natale seguente. Poi ci dovevano "rescagnà", cioè vestire a festa per andare in chiesa. Per mesi,a scuola,avevamo provato il coro per cantare la "pastorella". Gli alunni delle elementari eravamo circa 110/120, veramente tanti e tutti non potevano cantare. Allora,i maestri, decisero che a cantare fossero gli alunni della classi IV e V. I primi tre anni abbiamo dovuto tacere,ma ora tocca a noi. Non si può rinunciare per nessuna cosa al mondo. Il fuoco in piazza è acceso, la campana chiama per la terza volta, bisogna andare in chiesa. Rispettando la secolare tradizione,i maschi sulla sinistra dell'altare e le donne sulla destra, attendevamo il nostro momento. Ci sentivamo osservati dai grandi e talvolta anche ammoniti da uno sguardo fulmineo per aver detto una parola o aver fatto un piccolo sorriso.Finalmente ci siamo.. La maestra intona "Sia pace a voi pastori". Cantavamo una riga i maschi ed una le femmine, vi lascio immaginare cosa usciva fuori in quei 20 minuti di esibizione. Ma per noi era importate. Alla fine,comunque, ci dicevano"bravi" e noi non capivamo che forse era solo una parola di incoraggiamento. Tornavamo a casa soddisfatti. La neve ed il gelo avevano fatto diventare violacee le nostre gambe coperte da calzettoni di lana e pantaloni corti, ma a casa c'era il fuoco,bello,caldo,tenuto acceso dal "ciocco" apposta per noi...La mamma prendeva la sua brace, la deponeva in un contenitore di metallo o terra cotta, la copriva con un pò di cenere e la metteva nel "prete", dentro al letto. (1)
Dopo dieci minuti il letto era caldo e noi,soddisfatti e felici,andavamo a dormire,sognando tante cose belle che avevamo vissuto in quella notte "magica".

(1) "prete: scaldaletto strutturato in legno. Quattro stecche distanziate fra loro da mascelle,per tenere alte le coperte ed un pianale che teneva unite le stecche di base dove veniva appoggiato il braciere...
BELLE SPERANZE - 16 GENNAIO 2015
Voi veramente credete che questa cosa possa durare"? Queste le parole di un pastore,che passando,vide una decina di uomini inginocchiati nella terra umida a raccogliere patate. Eravamo stanchi ed infreddoliti. La sera avanti,per un ritardo del trattorista, avevamo iniziato la raccolta alle 17,30. Era martedì 29 Settembre, le previsioni il mercoledì pomeriggio mettevano temporali. Dovevamo fare la raccolta in maniera forzata,anche con il buio,altrimenti, con la terra bagnata non sarebbe stato più possibile. Infatti il manovratore accese i fari e noi lavorammo fino alle 20,00. Non facemmo caso alle parole di quel pastore e neanche rispondemmo. Terminammo per le 13,00,riscendemmo al paese da quota 1250 e senza pranzare,facemmo i sacchetti di patate da 5 e 10 Kg. Nel tardo pomeriggio iniziò un diluvio che durò fino al venerdì pomeriggio. Il sabato mattina tornò il sole che ci permise di fare tutti i preparativi per la prima festa della PATATA,3 Ottobre 2015 Cosa rispondiamo al pastore? Io rispondo cosi: "Fra le altre facoltà mentali, noi abbiamo la capacità di sintesi,come ogni uomo. Siamo dovuti andare via dal nostro paese per necessità, ma non lo abbiamo mai dimenticato. Le radici non le abbiamo mai rescisse. Il tempo della "fame" che rendeva i nostri padri "protettivi" rispetto a un metro di terrcno,unica fonte di sussistenza,è passato. Noi figli.ma soprattutto la seconda è terza generazione, abbiamo una visione diversa.Intanto avere una casa più o meno grande al paese e poi fare tutto il possibile per farlo rivivere, c renderlo più accogliente. Infatti,prima, in maniera individuale, ognuno ha cercato di sistemarsi un alloggio,segno evidente dell'amore ed interesse che ha di questa terra. Ora stanno nascendo delle bellissime realtà associative che mirano a riqualificare il paese, a promuovere eventi e incoraggiare le persone a partecipare e tornare il più possibile. Vedi :( Associazione Rinnovamento, Solidarietà Cajana, comitato per campo di bocce ed altri...Entità che collaborano fra di loro,unite,forti e convinte) Caro pastore, analizziamo il quadro generale e poi usiamo la capacità di sintesi.. "è iniziata una stagione di apertura che la comunità cajana sta cogliendo alla perfezione ...c'è in atto un processo irreversibile che non si arresterà" Noi apriamo la strada..i nostri figli la seguiranno.