NANDO GIAMMARINI
Nando (14.02.1955) ha una grandissima passione per la scrittura, che coltiva ogni giorno raccontando con dovizia di particolari, la realtà che lo circonda. Collabora infatti costantemente con diverse testate giornalistiche, soprattutto abruzzesi, perchè non ha mai perso il contatto con i luoghi della sua infanzia. Nel 2010 ha scritto e pubblicato il libro "Pochi versi... Una speranza", una raccolta di poesie dedicate alle vittime del terremoto del 6 aprile dell'Aquila. Di seguito un estratto delle sue poesie piu belle.
BERNARDINO CONCEZIO SALVI
Concezio (data di nascita) è uno scrittore legatissimo a Cabbia, a cui piace raccontare episodi a lui tramandati dalla scomparsa madre Angelina (come nei racconti di "Cronache di Cabbia"), o poesie a cui ha voluto rendere omaggio a personaggi e luoghi a lui cari (come nei racconti "Cajani"), o anche episodi di fantasia che hanno la Caja come location storica, ma sono visti e raccontati con gli occhi della fantasia, inventati per i bambini piccoli come fiabe per farli addormentare. Nel 2010 ha scritto il libro "Caja, la fonte dei sogni". Di seguito alcuni estratti dei suoi racconti più piu belli.
FRANCO DURANTINI
Franco (10.11.1947), professore di diritto ora in pensione, ha insegnato a migliaia di alunni ma ancora non ha esaurito la voglia di imparare... la passione che ci mette per la scrittura emerge forte dai suoi emozionanti scritti, di cui di seguito un estratto.
La poesia è una forma di comunicazione con la quale si manifestano agli altri momenti di vita vissuti ed emozioni provate.
Cabbia è terra di poeti e scrittori, persone che, con la parole, ci donano emozioni e ci fanno vivere realtà e fantasia come potrai leggere tu stesso. Grazie ai loro racconti si impara ad apprezzare quello che di bello ci propongono.
ROCCO DI GIAMBERARDINO
Il compare "Rocco" (08.03.1925) ci ha lasciato degli splendidi racconti di "VITA PASSATA", in cui narra storie e ricordi sul parroco Don Andrea, sugli insegnanti di Cabbia, sui quattro saggi e tante altre storie da leggere tutte di un fiato.
Nel secolo XVI, il contratto nuziale tra il Duca di Firenze Alessandro dei Medici e la Duchessa Margherita d'Austria, prevedeva la concessione da parte di Carlo V pro dot et dotis nomine ae fundo dotali, il "ducatum et ipsam civitatem Pennae et teraa Campli necnon civitatem Ducalem oppidaque sive castra et loca Montis Regalis et Leonissae sita in Provincia Aprutina".
Oltre all'insegnamento, si dedicavano con affetto a fare pronti soccorsi, che di tanto in tanto si rendevano necessari, eche, forse, attendere l'arrivo di un medico, poteva rivelarsi troppo tardi.
La prima parte si svolge mel pomeriggio antecedente il matrimonio: nella casa della sposa, i parenti preparano i cesti, addobbandoli con nastri di vari colori; in questi cesti sistemavano con cura il corredo della sposa, vestiti, tovaglie, lenzuola e coperte, le donne con i cestini in testa e gli uomini con colli a mano, preceduti da un suonatore di organtto, attraversavano le vie del paese diretti verso la casa dello sposo. Tante erano le manifestazioni di gioia che si sentivano da lontano: canti e balli coinvolgevano gli invitati che si avvicinavano alle tavole imbandite, rustiche ma al contempo ricercate.
Al mattino seguente però la cerimonia veniva invertita; la madre e i parenti dello sposo, si dirigono verso la casa della sposa: la futura suocera, con un cestino adornato sulla testa, porta in dono oro o coralli. In questa occasione si ricrea la stessa atmosfera: ecco allora la colazione con frittate, prosciutto, salame e caffè. Verso mezzogiorno quasi tutto il paese partecipa alla festa... tutti vanno a casa della sposa; proprio lì fuori avviene forse il momento più significativo: tutti quanti, parenti della "moglie" contro quelli del "marito", danno inizio ad una divertente battaglia a suon di confetti e se ne consumano tanti chili da imbiancare tutta la contrada. Questo momento dura fino a quando la casa della sposa è colma di parenti.
Conclusa la giostra, gli sposi a braccetto si avviano verso il rito religioso seguiti dal corteo di amici e parenti.
A fine cerimonia, ci si ritrova tutti insieme per il pranzo che di solito si protrae fino a sera. Poi, tra chi si riposa e chi seguita a festeggiare, gli sposi seguono il loro destino, con l'augurio di dar vita ad una nuova famiglia.
Quel pomeriggio, mia madre parlava sottovoce con una nostra vicina di casa; alla conversazione si unirono due zii; notai improvvisamente sul volto di mia madre un'espressione di dolore e stupore che le scuriva il viso: raccontavano infatti di un giovane pastore che aveva perso la vita in montagna; la cosa che apparve incredibile a tutti noi è che l'episodio ricalcava qualcosa di già avvenuto, riproponendo la forza della natura che aveva colpito e ucciso a distanza di poco tempo, in luoghi non lontani, un altro pastore. La montagna grande, imponente, accattivante protagonista, ci mostrò il suo aspetto impervio e faticoso, nemico doloroso, ci rese un corpo senza vita, per il quale dovettero intervenire le autorità giudiziarie nella rimozione.
Molte donne del paese, la sera, non tornarono a casa, unite al dolore dei parenti più vicini, recitarono il "rosario", sottovoce, cadenzato, una litania ritmata. Sembrava una ninna nanna che accompagnava il sonno eterno di un ragazzo.
Al mattino un fragrante odore di pane si spandeva nelle vie del paese: avevano panificato "per il morto". Poche lire, una candela, mezza pagnotta di pane, venivano distribuiti, mantenendo un'antica usanza, a tutti coloro che partecipavano al rito funebre. Sotto una pioggia impietosa, in processione verso il cimitero alle porte del paese, ci univamo tutti al dolore delle famiglie.
Dimenticai la mia febbre e mi unii ad un gruppetto di ragazzi: armati di sci fatti di toghe di botti, fermati al piede con fascette di cuoio, bussavamo ad ogni porta del paese per chiedere i regali che la Befana aveva lasciato per noi in ogni casa.
Regolava questo nostro "pellegrinare" di casa in casa, uno scambio di cortesie tra famiglie e un coinvolgimento della gente che si prestava pazientemente a rendere felici un'orda di ragazzini che rumoreggiavano nelle vie del paese.
La "Tonta" era un insieme di cose semplici, frutto del lavoro della terra e di grandi sacrifici: noci, noccioline, arance, castagne avevo messo un pò ovunque: nelle tasche della giacca, dei pantaloni, ed un piccolo sacco in vita. Alla fine della serata, colma di ogni tipo di leccornia, non vedevo l'ora di poter mostrare l'indomani ai miei compagni tutti quei doni, frutto sicuramente dell'amore e non del denaro.
Il mattino seguente, corsi in piazza con mio fratello... non avevo dormito, l'euforia della festa creava in me una grande eccitazione. Scupolosamente appoggiai i doni ricevuti sul muretto della Chiesa, raccolsi un pò di neve e la misi in bocca... una palla di neve mi colpì proprio sul cappello, che saltò via insieme a gran parte delle noccioline: non sapevo se ridere o piangere.
Mi voltai bruscamente: la palla proveniva da un gruppo di ragazzi che aveva appena finito di costruire con la soffice neve caduta la sera precedente, delle grandi statue. Una era adagiata in terra, vegliata da un altro ammasso di neve dalle sembianze maschili. Assunsi un cospetto serio e mi avvicinai: i due enormi fantocci di neve rappresentavano il principe e la principessa, protagonisti della favola "La Bella Addormentata nel Bosco".
Presi una nocciolina e la tirai al più grande del gruppo; voltai le spalle ed inizia a curiosare tra i gruppi di gente che formavano tanti piccoli Capannelli. Il paese per un giorno, sembrava incantato dallo spirito di tanti "scultori in erba". Ovunque si potevano distinguere Marionette, Pinocchi, nanetti di Biancaneve, principi, regine e cavalieri. Un teatro dell'effimero che si sarebbe sciolto sotto i primi raggi di sole, animato dalla voce di colui che veniva prescelto come lettore dei canti dell'Ariosto. La poesia di quei canti si confondeva alle poesie della vita, fatta, quel giorno, di neve, di tonte, di grida, di risa, di allegria... fatta di gente animata da una profonda cultura popolare che, con semplicità, rievocava pagine di letteratura e stralci di fiabe.